mercoledì 8 aprile 2020

Proposte per la “fase 2” per un modello di "economia a bassa mobilità"




Proposte per la “fase 2” per un modello di "economia a bassa mobilità"



Circa un mese fa, precisamente il 5 marzo, il Governo nazionale prendeva i primi provvedimenti emergenziali per contrastare il diffondersi del Covid-19 chiudendo scuole ed università. Negli USA l'argomento del giorno era la vittoria di Biden nelle primarie democratiche e l'Europa era più preoccupata dalle tensioni tra greci ed immigrati al confine con la Turchia che dai focolai in espansione in Italia. Dopo 30 giorni lo scenario si è totalmente trasformato: gli Stati Uniti diventano con 230 mila casi ufficiali il Paese del mondo con più contagi, Francia e Spagna sono nel pieno della diffusione del virus e gli altri Paesi europei iniziano anche loro a sperimentare le conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia.

In Italia, dopo un mese di lockdown nazionale, 15 mila morti e 124 mila contagiati ufficiali, è arrivato il momento di pensare ed attuare al più presto una strategia per ripartire. Anche in mancanza di antivirali specifici o vaccini. Le stime del recente report di Confindustria sull’impatto economico della pandemia sono chiare nella loro drammaticità: una perdita di 10 punti di PIL sul primo semestre di quest’anno, - 6% a fine 2020 solo se il 90% dell’attività economica riprenderà entro la fine di maggio, 0,75% di PIL (13,5 miliardi) persi ogni ulteriore settimana di chiusura. Ed un rapporto debito/Pil che dovrebbe avvicinarsi al 150% a fine 2020. E' chiaro ormai a tutti che almeno per i prossimi 18 mesi dobbiamo adattarci a determinate regole che abbiamo acquisito in queste settimane: distanziamento sociale, maggiore attenzione all'igiene, controllo più attento dei possibili focolai. Ma questo non significa che, anche se limitata da tali restrizioni, l'economia nazionale debba necessariamente fermarsi. Va invece ripensata ed adattata alle nuove condizioni.
Da dove ripartire immediatamente per evitare che la crisi epidemiologica si trasformi velocemente in una ancora più drammatica crisi economica e sociale? Come scongiurare una tempesta perfetta che rischia di sfasciare tutto, non solo metaforicamente?
Si può partire, declinando in termini economici ed istituzionali, da quanto espresso in termini religiosi da Papa Francesco in occasione della eccezionale benedizione Urbi te Orbi sul sagrato di una Piazza San Pietro cupa e vuota.

Nessuno si salva da solo. Nemmeno il sistema capitalistico. La crisi finanziaria del 2008 aveva evidenziato il forte ruolo di Governi e Banche Centrali per la ripresa economica, soprattutto nelle economie dove la presenza dello Stato era minima come gli USA. Per trent'anni un susseguirsi di teorie sempre più liberiste, dai monetaristi (Friedman), agli economisti della supply-side (Laffer), fino ai teorici delle aspettative razionali (Lucas) - secondo i quali i mercati sono sempre in grado di assumere decisioni ottimali perché gli agenti sono perfettamente razionali ed informati ed i compiti dello Stato si limitano alle sole funzioni essenziali di giustizia, difesa ed ordine pubblico - avevano convinto anche i più progressisti che la ricetta migliore per la crescita nelle economie avanzate fosse limitare il ruolo dello Stato e ridurre la spesa pubblica, aspetti considerati un freno allo sviluppo del mercato capitalistico. La crisi dei sub-prime ed ancora di più la pandemia del coronavirus, hanno invece messo in evidenza come nelle economie moderne lo Stato (e le istituzioni di Stati come è l’Unione Europea) non rappresenti un freno, ma sia invece il motore di emergenza in grado di mantenere la macchina economica accesa nelle fasi di crisi. Il particolare la presenza statale, in settori dove si manifestano periodicamente fallimenti di mercato come l'istruzione, la ricerca e la sanità, diventa sempre più decisiva nella costruzione di società non solo ricche in termini di prodotto interno lordo ma sviluppate in termini di cultura democratica, innovazione e qualità della vita.

Nessuno si salva da solo in Europa e nel mondo. Quello che emerge da questa pandemia è che per tali eventi sistemici servono istituzioni sovranazionali forti. Per trovare una cura per il virus sarà necessario un più forte coordinamento tra le diverse istituzioni di ricerca del mondo, e sarebbe stata utile una struttura di ricerca comune europea che in questo momento coordinasse le attività dei laboratori continentali, con indirizzi comuni nei diversi Paesi, e si interfacciasse con quelli americani ed asiatici. Nella stessa maniera, a livello continentale, per rispondere alla drammatica situazione economica conseguente alla pandemia, la risposta non può avvenire dal singolo Stato. Gli USA hanno approvato un primo pacchetto di spesa pubblica a sostegno dell’economia da oltre duemila miliardi di dollari. La Cina ha previsto 7.500 miliardi di yuan di nuovi investimenti in “infrastrutture” già nel 2020. In entrambi i casi saranno le rispettive banche centrali a comprare i titoli di Stato emessi per finanziare tali investimenti. L'Europa, nel suo piccolo, ha già assicurato con la BCE un "quantitative easing" da 750 miliardi per l'emergenza, ha predisposto un fondo anti-disoccupazione SURE di 100 miliardi destinato a finanziare le cig nei Paesi in difficoltà, e sembra intenzionata ad attivare il Mes con condizionalità ridotte al minimo e la Banca europea degli investimenti con circa 200 miliardi di Recovery bond, istituzioni che da subito possono emettere obbligazioni congiunte dei paesi membri. A questi strumenti già esistenti, molto probabilmente se ne affiancherà uno nuovo, quello che finora è stato definito Coronabond, obbligazioni comuni per tutta la zona euro. Forse servirebbe uno sforzo maggiore, ma questo è il limite istituzionale fino al quale si sono spinti gli Stati membri prima della crisi. Il 2020 ci insegnerà che forse ci siamo fermati in mezzo al guado e che, per rispondere a sfide globali, è necessario un passo avanti dell'Unione Europea verso un'integrazione maggiore, non solo monetaria, ma anche fiscale, sanitaria e militare. Un passo indietro che frantumasse quanto finora costruito riporterebbe gli Stati europei a colonie sviluppate delle grandi potenze mondiali. Ricordiamo a tutti qualche dato: secondo le stime del FMI nel 2017 il Pil degli USA è stato di circa 20,5 trilioni di dollari, quello dell'UE di quasi 18,5 trilioni di dollari e quello della Cina di 13,1 trilioni di dollari. Sono questi i numeri che bisogna avere nella competizione mondiale per guidare il proprio percorso di sviluppo e non subirlo.

Nessuno si salva da solo. Nemmeno lo Stato. In una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, ne usciremo in piedi solo se pubblico e privato lavoreranno assieme per risolvere i problemi. Lo Stato, mai come ora, è il motore di riserva che sta mantenendo ancora accesa la macchina economica italiana. Ma non ha una struttura amministrativa in grado di gestire in tempi brevi un'emergenza nazionale, soprattutto per quanto riguarda la sfera economica e sociale. E su questo una mano possono darla i privati, soprattutto le banche. L'ABI ha già dichiarato di essere favorevole immediatamente ad anticipare la cassa integrazione ai lavoratori, e potrebbe anche assicurare liquidità alle imprese con mutui trentennali se i tecnici del Tesoro si convinceranno ad investire di più su garanzie destinate al credito, come hanno già fatto Francia e Germania. Va in questa direzione il Fondo Pmi per imprese fino a 499 dipendenti ipotizzato negli ultimi giorni. Da parte loro le Amministrazioni pubbliche devono sfruttare questa fase di smart working e digitalizzazione forzata per ammodernarsi ed accelerare le procedure di rinnovo del proprio personale e di affidamento degli appalti, per essere pronti quando si uscirà dall'emergenza a ripartire immediatamente con i lavori pubblici, soprattutto al Sud, il vero motore dell'economia. Tenendo conto di tutto ciò, il Governo deve indicare al più presto una strategia precisa per il passaggio dall'emergenza alla fase due della ripartenza.

Anche se non abbiamo tempi certi per cure e vaccino, una data per la ripresa delle attività economiche almeno nella parte meridionale del Paese (quella dove già adesso il contagio rallenta) va stabilita. Anche perché se continua il blocco totale per altri tre mesi, dire che non moriremo in un reparto di terapia intensiva ma davanti ad un supermercato non rischia di essere una forzatura, ma la foto di una realtà che ha già visto fenomeni di tensione sociale molto forti in diverse zone del Paese. Diamoci una data: a metà maggio si potrebbe ipotizzare la riapertura delle imprese e di molte attività commerciali, a partire da quelle legate alla filiera agroalimentare e da quelle in settori strategici dell'export. E' necessario non solo per ragioni economiche, ma anche per fare affrontare con forza e lucidità a cittadini ed aziende questo ulteriore periodo di lockdown. Una data per la ripartenza non deve essere una speranza provvidenziale, ma una strategia attenta per una graduale ripresa, da annunciare già adesso ed utile a preparare per tempo cittadini ed amministrazioni.  Ovviamente nessuno pensa di tornare tranquillamente alla vita sociale e lavorativa di gennaio, ma bisogna far ricominciare le attività lavorative ai milioni di cittadini che in questi due mesi si sono ritrovati senza reddito. Programmare il rientro significa che per quella data i lavoratori devono avere le mascherine e strumenti per l'igiene che gli permettano di lavorare in sicurezza, gli ospedali, anche quelli del Sud, devono essere attrezzati per la ripresa di eventuali focolai, la tecnologia (app di localizzazione e software di analisi della diffusione del contagio come in Corea del Sud) deve essere a disposizione di tutti i cittadini che vogliono rientrare al lavoro, i cittadini devono prendere coscienza che il distanziamento sociale sarà una precauzione da adottare almeno fino all'estate del prossimo anno.

In conclusione saremo in grado di superare la fase di emergenza quando ci renderemo conto che la crisi aprirà la strada ad un nuovo modello di relazioni personali, istituzionali ed economiche, dove per migliorare le condizioni di tutti si dovrà stare fisicamente più lontani ma socialmente ed economicamente più vicini. Ci si dovrà muovere di meno tra i luoghi, ma incontrarci di più sui problemi da risolvere. Lo scenario che abbiamo davanti ed al quale dovremo abituarci per qualche anno è quello interazioni sociali ed economia "a bassa mobilità", dove va ripensato il modo di lavorare e relazionarsi. Probabilmente si tratta del primo passo verso un nuovo modello di produzione delle economie occidentali caratterizzato da alcuni specifici elementi: a) maggiore presenza del pubblico in determinati settori (non una presenza generica anche solo vagamente di impostazione statalista, abbandonando anzi con fermezza l'idea pericolosa di nazionalizzazione di imprese in difficoltà per incapacità gestionale o in crisi ben prima dell’emergenza, vedi Alitalia) in particolare in quelli in cui il mercato ha mostrato difficoltà o veri fallimenti, come istruzione, ricerca e salute; b) maggiore attenzione, accanto alla garanzia per le libere mobilità di persone, merci, tecnologie, competenze, agli aspetti che ne assicurino lo svolgimento in piena sicurezza come test sierologici, controlli sanitari, tracciabilità dei percorsi, quarantene automatiche; c) elevato utilizzo della tecnologia per migliorare sicurezza e qualità della vita e per aumentare la produttività del lavoro, anche di quello dell'amministrazione pubblica; d) modelli di produzione anche più ambientalmente e socialmente sostenibili di quelli a cui ci aveva abituato la globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta; d) definizione di standard obbligatori di social distancing condivisi a livello europeo per uffici pubblici e aziende private; e) maggiori controlli su entrata/uscita delle frontiere europee e obbligo di controlli sanitari in aeroporti e stazioni e snodi di mobilità; f) prepararsi strutturalmente ad eventi come l'attuale pandemia, con strutture sanitarie adeguate in maniera omogenea su tutto il territorio, il ricorso sempre più diffuso alla telemedicina, ed una maggiore digitalizzazione dei processi amministrativi.

http://www.erasmofondazione.it/2020/04/07/emergenza-coronavirus-le-proposte-di-erasmo-per-la-fase-due/?fbclid=IwAR23VTmeAfHtUyIk5MQSD2MBNnxqlxS5I0-XS748s5FoC5LlHvML3u25WW0

venerdì 2 giugno 2017





Festival dell'Economia di Trento 

Cannabis: proibire, legalizzare o liberalizzare?

Proposto nell'ambito della 12ª Edizione del Festival dell'Economia di Trento "Salute Disuguale" in programma dall'1 al 4 giugno 2017. 

Registrazione video del dibattito dal titolo "Festival dell'Economia di Trento - Cannabis: proibire, legalizzare o liberalizzare?", registrato a Trento venerdì 2 giugno 2017 alle ore 12:01. 

Dibattito organizzato da Provincia Autonoma di Trento. 

 Sono intervenuti: 

Pietro Dal Soldà (giornalista di Rai Radio 3, Rai - Radiotelevisione Italiana), 

Marcello Esposito (professore), 

Piero David (ricercatore in Economia Applicata presso l'IBAM-CNR di Catania), 

Carla Rossi (rappresentante del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito all'UNODC). 

domenica 20 novembre 2016

Ragioni economiche..e politiche per votare SI.





Tra le ragioni per votare SI al Referendum Costituzionale, ce ne sono almeno due con ricadute molto importanti sull'economia del nostro Paese: la maggiore stabilità del sistema politico che riforma del bicameralismo perfetto e nuova legge elettorale possono portare; ed il ritorno di alcune competenze allo Stato modificando il Titolo V della Costituzione. Vediamole nel dettaglio.

1) Maggiore stabilità del sistema politico

Quanto durano i governi nei Paesi sviluppati? e quanto in Italia? in Gran Bretagna, USA, Germania, Spagna e Francia mediamente 4 anni. Cioè un premier con i suoi ministri si insediano dopo che vincono le elezioni e vanno avanti sino a fine mandato. In Germania, addirittura, i cancellieri, governano per cicli politici e non per una o due legislature (Kohl dal 1982 al 1998, 4 mandati consecutivi, la Merkel dal 2005 al 2017 con una probabile candidatura per altri 4 anni). Qual è la durata media di un governo in Italia? 12 mesi. Dal 1948 ad oggi si sono avvicendati 62 governi in 68 anni. Di fatto l'Italia è un Paese strutturalmente "instabile". Cioè i governi hanno sempre avuto breve durata, non solo nelle fasi di crisi economica o politica. Per questo nel Parlamento già dagli anni '80 si è affrontato il tema del superamento del bicameralismo paritario con vari tentativi di riforma.

Peraltro in passato, con un sistema politico bipolare, i governi erano instabili, ma almeno si potevano comporre politicamente. Cioè in una legislatura, cambiavano i governi ma la maggioranza rimaneva più o meno la stessa. Adesso in un sistema politico divenuto tripolare  il rischio è proprio che il sistema si blocchi e che si ricorra sempre di più a governi tecnici o a grandi coalizioni che rappresentano entrambi le forme di governo che allontanano maggiormente gli elettori dalla politica.

Con questa Riforma, con la fiducia della sola Camera dei Deputati ed una legge elettorale con premio di maggioranza, si fa un gran passo avanti verso un sistema politico più stabile. Chi vince ha una maggioranza stabile e può governare senza fibrillazioni continue per cinque anni.

Ma perché la stabilità politica è importante? Innanzitutto perché solo un governo che dura per un'intera legislatura può cercare di realizzare le riforme proposte in campagna elettorale. Dopo cinque anni è abbastanza semplice valutare se il governo ha fatto bene o male il proprio lavoro. Con un turn-over continuo di premier e governo le responsabilità sono poco chiare tra i vari attori ed anche questo contribuisce ad allontanare gli elettori dalla politica.

Ma soprattutto la stabilità politica consente di programmare e spendere meglio le risorse per investimenti. Ormai quasi tutte le risorse a disposizione di ministeri (nel caso di governi nazionali) ed assessorati (per quelli regionali) non si trovano nei bilanci ordinari ma nei programmi dei fondi strutturali. Per riuscire a spenderle bene, vanno prima programmate (cioè articolate in bandi pluriennali) e poi spese monitorando i progetti ed intervenendo sulle criticità. Ora se mediamente un governo dura un anno, e quindi ogni 12 mesi cambiano anche ministri o assessori, significa che nei pochi mesi nei quali un ministro rimane insediato deve riuscire a comprendere bene i meccanismi di spesa dei fondi a disposizione, programmare le risorse e pubblicare i bandi. Operazione che generalmente supera i 12 mesi e che quindi ricomincia nuovamente col nuovo ministro o assessore. E' per questo che i nostri ministeri e le nostre regioni non riescono a spendere le risorse dei Fondi comunitari. Una maggiore stabilità politica è correlata ad una maggiore efficienza ed efficacia della spesa.

C'è un terzo aspetto importante economicamente della stabilità politica. Un premier che dura quattro o cinque anni è un interlocutore stabile per gli investitori esteri. Se un fondo internazionale vuole investire in una produzione in Italia, deve avere la certezza che le politiche economiche di quel paese, interlocutori compresi, non mutino rapidamente in un anno.



2) Rapporto tra Stato e Regioni


Con la Riforma costituzionale del 2001 e l'introduzione delle competenze concorrenze tra Stato e Regioni, si sono aperti 1500 contenzioni davanti alla Corte Costituzionale. Se nel 2000 la Corte trattava per circa il 5% delle sue sentenze di rapporti Stato-Regioni, ora si è arrivati al 45%. Che significa un rallentamento di tutta l'attività della Corte e tempi più lunghi per le decisioni. E dato che in molti di questi casi si tratta di decidere la competenza su attività che prevedono investimenti, significa anche che ci sono molte risorse pubbliche e private, disponibili per investimenti, bloccate per i contenziosi tra Stato e Regioni.

A questo possiamo aggiungere che la Riforma in senso federalista del 2001 non ha portato come si pensava ad una maggiore efficienza nell'organizzazione dei servizi pubblici, ma ha comportato esclusivamente maggiori costi: dal 2001 al 2015 la spesa sanitaria è cresciuta da 75 a 110 miliardi di euro.

Con la Riforma del Titolo V che voteremo il 4 dicembre infrastrutture energetiche, porti, aeroporti, energia, politiche attive, commercio con l'estero, turismo e sanità torneranno allo Stato. Con importanti benefici economici soprattutto per i cittadini. La competenza dell'energia nelle mani delle regioni ha comportato spesso ritardi ed inefficienze che significano maggiori spese caricate sulla bolletta energetica del Paese e pagate dai cittadini. Così anche per il Commercio estero: le regioni per promuovere le proprie imprese hanno aperto 178 ambasciate italiane all'estero.

Un'ulteriore aspetto economico rilevante è rappresentato risparmi che deriveranno dall’abolizione del Senato, dalla cancellazione definitiva delle province e del Cnel, dell'eliminazione dei rimborsi per i consigli regionali stimati attorno ai 500 milioni di euro.

3)  Un Paese in grado di cambiare

Un altro elemento molto importante nei mercati internazionali è anche la capacità di un Paese di adottare riforme strutturali per divenire più moderno e competitivo nell'economia globale: un Paese immobilizzato, incapace di cambiare, è senza dubbio poco attrattivo per chi vuole investire risorse e per chi vuole prestargli denaro. Tutti i partiti in Italia condividono il fatto che dobbiamo riformare le nostre istituzioni, ma una volta che si presenta la possibilità di farlo, nonostante due anni di dibattiti e votazioni in Parlamento, si dice che è necessaria un'altra riforma diversa da quella proposta. Ora va chiarito che se il 4 dicembre verrà bocciata questa Riforma Costituzionale, la prossima sarà presentata forse tra una decina di anni. Infatti senza dubbio nei 14 mesi che ci separano dalle elezioni del 2018 non ci sono i tempi per una nuova riforma. E nel futuro Parlamento, con una Camera eletta con l'Italicum, il Senato col proporzionale, e tre poli fortemente in contrasto tra loro, già sarà difficile individuare una soluzione di governo. Quindi per una nuova fase costituente dovremo aspettare forse il 2025.

Riuscire a Riformare la Costituzione darebbe la possibilità all'Italia di presentarsi come un Paese in grado di cambiare e pertanto molto più affidabile per le istituzioni europee e per gli investitori internazionali.

In conclusione una ragione strettamente politica, ma che ha anche delle conseguenze economiche. Se ci guardiamo intorno, in tutti i Paesi occidentali sviluppati, la tendenza politica è estremamente chiara.

In Inghilterra governava un conservatore Cameron che dopo la Brexit ha lasciato la premiership ad un Primo ministro ancora più a destra Theresa May; in Francia alle prossime presidenziali avremo un ballottaggio tra la destra moderata di Sarkozy e quella radicale di Le Pen; in Spagna governerà il moderato Rajoy, con un governo di minoranza; in Germania se va bene rimarrà la Merkel Cancelliere, se va male arriva al governo la destra estrema; e per finire negli USA diventa presidente un miliardario, razzista e protezionista. Ora, in uno scenario politico che guarda pericolosamente a destra, quella più estrema, nell'unico Paese con al governo un partito di centro-sinistra, il PD, e con l'unico premier di centro-sinistra, bocciando il referendum si aprirebbe una crisi politica al buio che, dato il contesto, difficilmente potrà chiudersi con un governo più a sinistra dell'attuale. Certo, se poi qualcuno pensa che Grillo o Salvini siano meglio di Renzi, allora … buona fortuna!

venerdì 4 settembre 2015

Costi e benefici della legalizzazione delle droghe leggere
di Piero David e Ferdinando Ofria

La proposta di 218 parlamentari per legalizzare cannabis ha suscitato un vasto dibattito tra politici ed esperti sul tema. Recenti ricerche evidenziano che tale provvedimento determinerebbe benefici netti consistenti per le casse dello Stato. Aggiungiamo qualche dato in più al modello logico già presentato su LaVoce.info tenendo conto dell'esperienza del Colorado e dell'introduzione nel Pil del calcolo dell'economia illegale da parte dell'Istat.

In riferimento al Colorado, dove una regolamentazione simile a quella proposta dall'Intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis è stata introdotta nel gennaio 2014, la legalizzazione delle droghe leggere non mostra aumenti significativi nei costi sanitari. In compenso il Dipartimento di polizia di Denver ha certificato nel 2014, per la prima volta dal 2009, una riduzione di furti in totale del 3% e furti con scasso (-10%).

Crimes against property in the city and county of denver


Larceny (furto)
Burglary (furto con scasso)
Totale furti
Var%
2009
Gennaio-Dicembre
5338
4928
10266
_
2010
Gennaio-Dicembre
5849
4643
10492
2,20
2011
Gennaio-Dicembre
6319
4963
11282
7,53
2012
Gennaio-Dicembre
7497
5274
12771
13,20
2013
Gennaio-Dicembre
7948
5094
13042
2,12
2014
Gennaio-Dicembre
8045
4594
12639
-3,09
2014
Gennaio-Giugno
4.497
2.299
6796
2015
Gennaio-Giugno
4.109
2.206
6315
-7,08


Inoltre, una società di brokeraggio, la Convergex di New York, ha monitorato il mercato della marijuana in Colorado per studiarne l’andamento dei prezzi. Se per un’oncia di sostanza nel 2014 si pagavano 300-400 $ (10,6-14,11 $ al grammo), con l’espansione della concorrenza, e finito l’effetto novità, il prezzo medio si è ridotto nel 2015 a 250-300$ l’oncia (8,81-10,6$ al grammo). Nonostante questo si stima per il 2015 una crescita del fatturato del 50%. La tassazione è composta dalle accise al 15% (pagate dai produttori), più 2,9% di tasse statali, più l’IVA al 10%, ma si prevede di ridurla all’8% nel 2017 per contrastare il mercato nero. A queste si aggiungono le tasse locali che variano da città a città (a Denver, ad es. è  del 3,5%).
In riferimento alla seconda novità, i benefici fiscali, vanno distinti tre aspetti.
1) L'Istat per l'anno 2011 calcola in 10,5 miliardi il nuovo Pil derivante dal traffico di stupefacenti. Questa modifica contabile ha una ricaduta positiva per i conti pubblici, poiché, aumentando il Pil, riduce il rapporto deficit/Pil e consente qualche spesa in più mantenendosi dentro i limiti del fiscal compact.
2) I benefici indiretti li segnala l'ultima Relazione della DNA (pag. 354-355) nella quale si dichiara che se si vuole reprimere più efficacemente il traffico di droghe pesanti (eroina e cocaina) o impiegare più risorse in altri reati, e ridurre contemporaneamente la liquidità delle organizzazioni criminali, va ipotizzata una regolamentazione delle droghe leggere. Segmentando così i due mercati delle droghe pesanti e leggere: queste ultime, come riportato di seguito, rappresentano oltre il 50% del mercato degli stupefacenti.
3) Il terzo aspetto riguarda i vantaggi fiscali diretti della legalizzazione. Che possiamo stimare considerandoli somma di due componenti: a) la riduzione di spesa sostenuta per l'applicazione della normativa proibizionista; b) le imposte riscosse sulle vendite.
            La spesa per la repressione, utilizzando i dati dell'anno 2011 (gli ultimi disponibili), è rappresentata dal costo dei detenuti per traffico di stupefacenti (il 37% del totale),  stimabile in poco più di un miliardo di euro (Tab. 1); e dalle risorse impiegate per reprimere il fenomeno da parte di forze dell'ordine e magistratura.

Tab. 1 -Spesa annua servizi carcerari (euro)

2006
2007
2008
2009
2010
2011
Detenuti
51749
44587
54789
63095
67820
67405
Costo medio giornaliero singolo detenuto
154,84
190,21
152,05
120,95
116,67
119,01
Costo medio giornaliero del totale detenuti
8.012.815,16
8.480.893,27
8.330.667,45
7.631.340,25
7.912.559,40
8.021.869,05
Costo annuo del totale detenuti
2.924.677.533,40
3.095.526.043,55
3.040.693.619,25
2.785.439.191,25
2.888.084.181,00
2.927.982.203,25
Spesa annua del totale detenuti per droga (Costo annuo*0,37)
1.082.130.687,36
1.145.344.636,11
1.125.056.639,12
1.030.612.500,76
1.068.591.146,97
1.083.353.415,20
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica

Queste seconde possono ricavarsi dai denunciati per traffico o possesso di stupefacenti sul totale dei delitti denunciati all'autorità giudiziaria. Tale percentuale è molto bassa (1,23%) sul totale dei delitti denunciati (oltre il 50% sono furti), pertanto è verosimile che il risparmio sulle spese per la repressione del fenomeno possa risultare sottostimato. Sui 37,13 miliardi di euro spesi complessivamente per forze dell'ordine e magistratura, applicando questa percentuale, la spesa per i reati di traffico di stupefacenti è stimabile in 457,4 milioni di euro (Tab. 2).

Tab, 2 - Spesa annua per ordine pubblico e sicurezza - magistratura compresa (milioni di euro)

2006
2007
2008
2009
2010
2011
Denunciati per normativa sugli stupefacenti
32306
34439
34082
34101
32761
34034
totale denunciati
2771490
2933146
2709888
2629831
2621019
2763012
Denunciati per droga in % sul totale
1,17
1,17
1,26
1,30
1,25
1,23
Spesa Difesa
20318
21876
23093
25471
23945
25315







Spesa Carabinieri
6.704,94
7.219,08
7.620,69
8.405,43
7.901,85
8.353,95
Spesa per ordine pubblico e sicurezza
28.483,00
29.056,00
28.861,00
30.738,00
31.516,00
31.708,00
Tot spesa ordine pubblico
35.187,94
36.275,08
36.481,69
39.143,43
39.417,85
40.061,95
Tot spesa ordine pubblico al netto delle spese carcerarie
32.263,26
33.179,55
33.441,00
36.357,99
36.529,77
37.133,97







Spesa per ordine pubblico e sicurezza per droga
376,08
389,57
420,58
471,45
456,60
457,41
Fonte: Istat - Delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria; Eurostat - COFOG Public order and safety


Sommando le due spese, otteniamo la stima del costo sostenuto per l'applicazione della normativa proibizionista: circa 1,5 miliardi di euro l'anno.
Le imposte sulle vendite, ipotizzando un'aliquota simile a quella applicata per i tabacchi, circa il 75% del prezzo di vendita, le ricaviamo dalla stima dei consumi delle tre principali droghe (cannabis, eroina e cocaina - secondo le rilevazioni dello Studio Aqua Drugs sui residui di sostanze nelle acque dei depuratori) moltiplicata per il relativo prezzo di mercato (ipotizziamo tre stime: alta, media, bassa).

Tab. 3 - Consumo annuo di Cannabis - 2011

dosi*1000 ab.
prezzo
spesa die
spesa annua
*60000
+10%
Tasse applicate 75%
36,62
12
439,44
160395,6
9.623.736.000
10.586.109.600
7.939.582.200
36,62
10
366,2
133663
8.019.780.000
8.821.758.000
6.616.318.500
36,62
8
292,96
106930,4
6.415.824.000
7.057.406.400
5.293.054.800
Consumo annuo di Eroina - 2011
dosi*1000 ab.
prezzo
spesa die
spesa annua
*60000
+10%
Tasse applicate 75%
2,05
30
61,5
22447,5
1.346.850.000
1.481.535.000
1.111.151.250
2,05
25
51,25
18706,25
1.122.375.000
1.234.612.500
925.959.375
2,05
20
41
14965
897.900.000
987.690.000
740.767.500
Consumo annuo di Cocaina - 2011
dosi*1000 ab.
prezzo
spesa die
spesa annua
*60000
+10%
Tasse applicate 75%
5,91
40
236,4
86286
5.177.160.000
5.694.876.000
4.271.157.000
5,91
35
206,85
75500,25
4.530.015.000
4.983.016.500
3.737.262.375
5,91
30
177,3
64714,5
3.882.870.000
4.271.157.000
3.203.367.750
Fonte: Studio AquaDrugs 2010-2011 – Dipartimento Politiche Antidroga
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

Da questo imponibile, applicando l'imposta del 75%, ricaviamo le stime alta, media e bassa del gettito fiscale per lo Stato.

Tab. 4 - Imposte sulle vendite con aliquota al 75%
stima alta
stima media
stima bassa
Tasse sulla vendita di Cannabis
7.939.582.200
6.616.318.500
5.293.054.800
Tasse sulla vendita di Eroina
1.111.151.250
925.959.375
740.767.500
Tasse sulla vendita di Cocaina
4.271.157.000
3.737.262.375
3.203.367.750
Totale
13.321.890.450
11.279.540.250
9.237.190.050


Sommando spesa sostenuta per l'applicazione della normativa proibizionista e imposte sulle vendite, e concentrandoci solo sul mercato delle droghe leggere, i cui soggetti denunciati per traffico di cannabis all'autorità giudiziaria nel 2011 rappresentavano il 37,3% del totale (Relazione Al Parlamento Sulle Tossicodipendenze 2012 - Direzione Centrale per i Servizi Antidroga), avremo (tab. 5):

Tab. 5 - Costo fiscale del proibizionismo (solo droghe leggere) - anno 2011

stima alta
stima media
stima bassa
Spesa Enforcement Droghe leggere
574.703.154,41
574.703.154,41
574.703.154,41
Gettito proveniente dalla vendita
7.939.582.200
6.616.318.500
5.293.054.800
Totale
8.514.285.354,41
7.191.021.654,41
5.867.757.954,41

In conclusione, la stima dei benefici fiscali della legalizzazione delle droghe leggere in Italia, calcolata per l'anno 2011, varia dagli 8,5 ai 5,8 miliardi di euro, dei quali 574,7 mila euro di mancati risparmi di spesa per la repressione del fenomeno (verosimilmente sottostimati) e 5,3 - 7,9 miliardi di mancato gettito fiscale. Tale calcolo può variare per eccesso se si considera la possibilità di coltivare in proprio la cannabis (autocoltivazione e cannabis social club), o per difetto se ti tiene in considerazione il possibile indotto di questo nuovo mercato (produzioni agricole, dolciarie, tessili, medicali). In entrambi i casi, comunque, un buon affare per i conti pubblici.